La domanda di trasporto dei veicoli privati resta sempre alta. I trasporti collettivi sembra siano in crisi sotto diversi punti di vista, non ultima la demografia. Occorre trovare una soluzione a fronte di previsioni non rosee.
È diventato ormai un appuntamento fisso per il settore dei trasporti la pubblicazione del Rapporto sulla mobilità degli italiani a cura di ISFORT, l’Istituto di Ricerca fondato nel 1994 da Ferrovie dello Stato e dalla Fondazione Nazionale delle Comunicazioni. Si tratta della radiografia più completa del Chi, Come, Quando, Dove è Perché degli spostamenti delle persone nel nostro Paese.
A rileggere le presentazioni delle ultime edizioni appare evidente una condizione di sostanziale immutabilità del quadro complessivo.
2019
“Il tasso di mobilità sostenibile non fa progressi; la propensione al cambio modale si affievolisce; nuovi record per i tassi di motorizzazione”.
2020
“La battuta d’arresto della mobilità dolce; la forza attrattiva dell’auto; la marginalità del mezzo pubblico”.
2021
“Il 2020 è stato l’anno della crisi profonda del trasporto pubblico, anche per effetto delle regole del distanziamento sociale e della paura del contagio”.
2022
“I dati dell’ultimo anno e mezzo sembrano disegnare un ritorno alla «vecchia normalità» con alcuni tratti peggiorativi (crisi ancora profonda del trasporto pubblico, crescita dell’auto)”.
2023
“L’incontrastato dominio dell’automobile (Oltre la retorica della mobilità); il tasso di mobilità sostenibile al palo”.
Quest’anno gli autori del Rapporto (link | pdf) scrivono che “occorre una scossa” e ripropongono una politica di investimento e rilancio del trasporto collettivo che, sebbene raccolga un consenso amplissimo, sembra presentare numerose incognite.
Gli attuali “rapporti di forza” tra mobilità motorizzata su auto e quella collettiva sono pressoché invariati da molti decenni in Italia così come negli altri Paesi europei dopo la radicale trasformazione avvenuta a cavallo tra gli anni ’50 e ’70 dello scorso secolo quando, prima la moto e poi l’auto, presero il sopravvento su bici e autobus.
Sebbene vi siano differenze anche significative tra le singole aree urbane, la quota di domanda di trasporto soddisfatta dall’auto si attesta in tutti i maggiori Paesi della Europa occidentale intorno all’80%. L’unica, parziale eccezione è quella dell’Austria in ragione del fatto che nella capitale risiede oltre il 22% della popolazione nazionale.
La ragione è piuttosto banale e la si può rintracciare anche in una delle prime edizioni del Rapporto ISFORT, quella del 2006 dove si legge: “il fattore «qualità», nell’accezione stretta del comfort di viaggio, è più incidente rispetto al passato tra le motivazioni di non-scelta del mezzo pubblico. Restano comunque largamente prevalenti le ragioni legate alla disponibilità del servizio, all’accessibilità/comodità di fruizione, alla rapidità del viaggio, tutti fattori sui quali il trasporto collettivo non riesce strutturalmente ad essere competitivo”.
Ipotizzare di ridurre in misura significativa a scala nazionale l’uso dell’auto migliorando l’offerta dei servizi collettivi è un po’ come pensare di poter diminuire quello della telefonia mobile migliorando la qualità o riducendo il prezzo di quella fissa.
Fatta eccezione per i Comuni con più di 250.000 abitanti dove detengono una quota di spostamenti pari al 17,6%, i mezzi pubblici soddisfano meno del 7% della domanda di mobilità.
Occorre sottolineare come l’assetto attuale si sia consolidato pur in presenza di una tassazione molto elevata del possesso e utilizzo dell’auto e, al contrario, di un forte sussidio dei mezzi pubblici.
Poiché le aree urbane di maggiore dimensione sono anche, in generale, più ricche della media, l’uso dei trasporti pubblici è positivamente correlato con il livello medio di reddito a scala comunale.
Dal punto di vista redistributivo l’attuale assetto appare dunque contraddittorio: una minoranza degli spostamenti effettuati dalle persone a basso reddito sono fortemente sussidiati mentre gli altri sono soggetti a un elevato prelievo fiscale che, nel caso dei carburanti, è regressivo: la quota di spesa è infatti più elevata per i redditi più bassi.
Qualora si ritenga opportuno sussidiare la mobilità di alcune persone sarebbe preferibile uno strumento universale (voucher) che non discrimini tra chi vive/lavora in zone che possono essere ben servite dal TPL e coloro che non rientrano in questo gruppo e che possa essere impiegato nelle modalità ritenute più opportune dal beneficiario.
Il fallito obiettivo del “riequilibrio modale” è stato perseguito soprattutto con riferimento alla sostenibilità ambientale. I trasporti collettivi presentano infatti un impatto molto più ridotto a parità di spostamento.
Al riguardo si può osservare che per l’inquinamento atmosferico negli scorsi decenni sono stati compiuti notevolissimi (e perlopiù sconosciuti, link) progressi grazie alla riduzione delle emissioni veicolari oltre che a quella avvenuta negli altri settori. Un’auto a norma Euro6 inquina meno di un decimo rispetto a un Euro0. Il progressivo rinnovo del parco sarà in futuro, come è stato in passato, il fattore largamente predominante ai fini di un ulteriore miglioramento della qualità dell’aria mentre il contributo del cambio modale si ridurrà ulteriormente. E così sarà per le emissioni di CO2 (link) causa del cambiamento climatico.
Sotto il profilo economico si deve altresì evidenziare come non ogni riduzione dell’impatto sia di per sé auspicabile: se così fosse la condizione ottimale si otterrebbe azzerando ogni forma di mobilità (e ogni attività economica che genera un effetto negativo). Si dovrebbero sempre confrontare costi e benefici e tenere in considerazione che l’incentivazione dei trasporti collettivi è una politica non ottimale. Sia sotto il profilo dell’efficienza che della equità, sarebbe preferibile applicare il principio del “chi inquina, paga” e non quello del “pagare qualcuno perché inquini di meno”. E, In Italia e in Europa, tranne eccezioni, l’attuale pressione fiscale sui carburanti è tale per cui chi inquina già paga, spesso più del dovuto (link).
Il più rilevante beneficio per i non utenti che deriva da un maggior utilizzo dei trasporti collettivi è oggi rappresentato dalla riduzione della congestione, soprattutto nelle aree più centrali delle grandi città. L’effetto positivo, peraltro, tende a ridursi nel medio-lungo termine a causa della domanda generata (l’aumento della velocità induce le persone ad effettuare più spostamenti così come una riduzione del prezzo di un bene determina l’aumento del suo consumo). Nella zona centrale di Londra, città con un eccellente dotazione di trasporti collettivi, la velocità media nei primi anni 2000 era di soli 14 km/h.
Nella capitale britannica si decise all’epoca di introdurre un pedaggio per l’accesso così come a Stoccolma e nel centro di Milano: è questa la politica più efficiente per ottenere il livello di traffico ottimale.
Si può altresì notare che l’aumento della quota di spostamenti soddisfatti dal trasporto pubblico non comporta sempre e comunque un miglioramento delle condizioni di mobilità complessiva. Nelle maggiori città svizzere ossia quelle che fanno registrare il più elevato utilizzo dei mezzi pubblici in Europa il tempo dedicato agli spostamenti è molto più elevato di quello che si registra in aree urbane di dimensioni analoghe o anche più grandi e nelle quali l’auto ha un ruolo maggiore: ad esempio a Berna si impiegano giornalmente per gli spostamenti 91 minuti a fronte dei 53 a Nantes.
La preferibilità di un approccio basato sul pagamento di un prezzo per circolare nelle zone più dense discende anche dal fatto che la riduzione della congestione così come gli altri potenziali effetti positivi del sussidio ai trasporti collettivi viene in misura più o meno ampia limitata dal fatto che le maggiori risorse rese disponibili alle aziende non si traducono integralmente in prezzi più bassi per l’utenza o in maggiore servizio ma, in parte, si traducono in maggiori costi di produzione. Le aziende pubbliche italiane (e più in generale quelle dell’Europa continentale) hanno costi di produzione di gran lunga superiori a quelli delle imprese operano nelle aree metropolitane britanniche (esclusa Londra) dove i servizi di trasporto collettivo sono stati liberalizzati quaranta anni fa.
A Ottobre ATM Milano ha subappaltato il servizio di una linea urbana a un’azienda che ha un costo per bus-km pari alla metà di quello della municipalizzata (link).
Un altro fattore che dovrebbe essere tenuto in considerazione quando si ipotizza di incrementare il servizio è che già oggi l’offerta attuale è nel complesso fortemente sottoutilizzata.
Nel caso di Milano i passeggeri-km trasportati sono pari al 12% dei posti-km offerti.
A Firenze (nel 2003) due terzi dei passeggeri erano concentrati su un quinto delle linee e si può presumere che questa condizione sia ancor oggi comune a tutte le altre aziende del settore.
Da ultimo, occorrerebbe tenere in considerazione lo scenario demografico che, sulla base delle stime fornite dalla stessa ISFORT, potrebbe portare tra vent’anni a una riduzione media degli spostamenti pari al 7% con una flessione di oltre il 20% per le fasce di età tra i 14 e i 24 anni che sono sovrarappresentate tra gli utenti dei trasporti collettivi.
Alla luce di quanto esposto, invece di pianificare un’avanzata che presenta numerose incognite sarebbe forse il caso di concentrarsi sull’aumento della efficienza e della qualità da perseguire con la privatizzazione delle aziende e l’adozione di meccanismi competitivi per l’affidamento dei servizi.
Francesco Ramella è Direttore esecutivo di Bridges Research e Research fellow dell’Istituto Bruno Leoni. Docente di “Trasporti” all’Università di Torino. Commentatore per i giornali “Repubblica Affari & Finanza” e “Tempi.it”.
Dal 2018 al 2019 ha fatto parte del Gruppo di lavoro per l’analisi costi-benefici delle “Grandi opere” presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Si è laureato in Ingegneria Meccanica e ha conseguito il Dottorato di ricerca in Trasporti presso il Politecnico di Torino.
È autore di alcune pubblicazioni scientifiche in materia di trasporti e co-autore di alcune monografie sulla politica dei trasporti pubblicate presso IBL Libri nel 2011 e nel 2015 ed Egea nel 2018 e 2021.